Quattro pensionati – un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia – ammazzano il tempo inscenando i grandi processi della storia: a Socrate, Gesù, Giovanna d'Arco, Dreyfus. Ma è certo più divertente quando alla sbarra finisce un imputato in carne e ossa: come Alfredo Traps, viaggiatore di commercio, che il fato conduce un giorno alla villetta degli ex uomini di legge. La sua automobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vecchi signori simili a «immensi corvi», che gli illustrano il loro passatempo. Traps è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Niente paura, lo rassicurano, «un reato si finiva sempre per trovarlo». Bisogna confessare, dunque: «che lo si voglia o no, c'è sempre qualcosa da confessare». Tra squisite portate e vini d'annata, il gioco si fa sempre più allarmante, finché Traps scopre in sé l'artefice di un delitto che merita «ammirazione, stupore, rispetto», degno, anzi, «d'essere annoverato fra i più straordinari ... del secolo» – un delitto capace di rendere «più difficile, più eroica, più preziosa» la sua meschina vita di imbrogli e adulteri. Ora, per la prima volta, quella giustizia che aveva sempre ritenuto «astratta cavillosità vessatoria» illumina il suo limitato orizzonte «come un immane, inconcepibile sole».
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