Il testo è una raccolta di cinque racconti, pubblicata nel 1831, il cui unico legame tematico è la figura di Bjelkin, un personaggio misterioso e colto che crea una cornice narrativa unitaria in quanto ha udito e messo per iscritto le storie. Puškin nell’introduzione finge di essere il suo editore e allega persino una fittizia lettera scritta da un amico dello stesso Bjelkin che lo descrive al lettore. Amori, inganni, colpi del destino e avventure fanno da sfondo alle storie.
In ognuno di questi racconti Puškin, usando i diversi generi letterari in voga in quel periodo, crea anche una sorta di parodia. Ogni novella, inoltre, è introdotta da una citazione tratta da opere di scrittori russi che la richiamano, un ornamento stilistico molto usato dallo scrittore.
Aleksandr Sergeevič Puškin nasce a Mosca nel 1799. Cresce in una famiglia nobile frequentata da molti letterati e si forma già da giovanissimo nella biblioteca del padre, fornita di numerosi testi francesi, sviluppando una propensione per la poesia. Di indole rivoluzionaria, si fece portavoce degli ambienti legati alle società segrete antizariste e a causa di ciò fu esiliato, da Pietroburgo, per diversi anni. La sua vita fu caratterizzata da un’inquietudine sentimentale e culturale che trasporrà nella sua letteratura. Tra le sue opere ricordiamo il romanzo in versi Eugenio Onegin (1833) e La figlia del capitano (1836), entrambi soggetto di trasposizioni cinematografiche.